Può la violenza avere basi biologiche e genetiche? Esiste una predisposizione al crimine? In che modo il corredo genetico di una persona interagisce con fattori sociali e culturali nel prodursi di comportamenti violenti? Sono solo alcuni degli interrogativi che l’edizione 2016 di BrainForum , “IL CERVELLO E LA VIOLENZA”, ha cercato di chiarire.
In una lectio magistralis il prof. Adrian Raine, psichiatra e criminologo, cattedra Richard Perry presso l’Università di Pennsylvania, uno dei più importanti studiosi di neuroscienze criminali, ha illustrato i risultati di oltre trent’anni di ricerche dedicati all’interazione tra genetica e biologia nel prodursi della violenza. Studi che hanno scardinato le certezze della comunità scientifica il cui paradigma dominante nella comprensione del comportamento criminale, per decenni, è stato costruito su modelli sociali, sociologici e psicologici deterministici. Adrian Raine ha rimesso in discussione tali convinzioni e dato una nuova prospettiva alle teorie dello studioso italiano Cesare Lombroso che per primo, oltre un secolo fa, cercò di persuadere l’opinione pubblica che l’origine del crimine avesse radici biologiche.
Il prof. Raine è l’autore di un saggio apparso in Italia per i tipi di Mondadori Education, nella collana Scienza e Filosofia diretta da Armando Massarenti: “L’anatomia della violenza – Le radici biologiche del crimine”, che evidenzia come i fattori biologici, già in fase prenatale, possano contribuire alla formazione di particolari circuiti celebrali che predisporrebbero a comportamenti violenti, e presenta numerose prove che dimostrano quanto il corredo genetico di un individuo giochi un ruolo decisivo nel plasmare la tendenza alla criminalità, se già nell’infanzia intervengono fattori psicologici, culturali, nutrizionali e ambientali negativi.