Perché il cervello ricorda meglio i cattivi?

28 marzo 2017, ore 19.00 – Cineteca Italiana, Milano
I nostri comportamenti sono guidati dalle informazioni che ci formiamo sugli altri ed è cruciale da sempre ricordarsi delle persone che possono danneggiarci.

Perché il cervello ricorda meglio i cattivi?

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I volti delle persone cattive si ricordano meglio. Lo hanno scoperto i ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca coordinati dalla professoressa Alice Mado Proverbio. Un volto non ci piace o ci fa paura, anche se a volte non sappiamo dire perché. Le informazioni che ci formiamo sugli altri influenzano il nostro comportamento, poiché è cruciale ricordarsi delle persone che possono danneggiarci. Gli scienziati ritengono che gli stereotipi ci aiutino a navigare nel mondo senza essere sopraffatti dalla molteplicità delle informazioni e sembra che le informazioni negative siano più rilevanti per la propria sopravvivenza, per difendersi da potenziali offensori o nemici o da persone potenzialmente pericolose. Grande rilevanza è data dalla mente umana anche alle qualità morali di una persona, che vengono rappresentate dalla maggiore attività della corteccia prefrontale mediale sinistra quando il personaggio viene descritto come immorale o socialmente pericoloso.

Germano Manco, psicologo psicoterapeuta, parlerà di come il diventare cattivi corrisponda, più che a un fattore ontologico, a un processo adattativo che massimizza i vantaggi o quantomeno minimizza gli svantaggi, nell’economia psichica del singolo individuo.

La serata proseguirà con la proiezione del film Il Clan, di Pablo Trapero (2015)
Argentina, primi anni Ottanta, subito dopo la fine della guerra delle Falkland. Nella città di San Isidro, Arquímedes Puccio, uomo dei servizi segreti, si trova disoccupato e confidando sulla copertura dei suoi superiori, in particolare di un innominato Commodoro, insieme ad altri due complici decide di organizzare sequestri di persone facoltose, chiedendo riscatti esorbitanti ai familiari. Attrezza quindi allo scopo la cantina e la soffitta di casa e sfrutta la posizione sociale del primogenito Alejandro, detto Alex, brillante campione di rugby della squadra cittadina del CASI e della Nazionale argentina, perché individui i potenziali ostaggi.

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