CONTROVIRUS | La sfida neuroetica della pandemia

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Alberto Carrara
Direttore del Gruppo di Neurobioetica
Ateneo Pontificio Regina Apostolorum
Università Europea di Roma
Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani

Non sottovalutiamo gli effetti neurologici e neuropsichiatrici indotti da SARS-CoV-2, solo conoscendoli potremmo migliorarli o almeno provarci. Questa è la sintesi di un progetto globale che potremmo denominare NeuroCovid. Di che cosa stiamo parlando?

NeuroCovid ha almeno due prospettive.

  • Da una parte considera l’emergente letteratura circa gli effetti neurologici e neuropsichiatrici che SARS-CoV-2 sarebbe in grado di arrecare in modo diretto dalla sua presenza fisica nell’organismo umano. Sin dagli inizi dell’infezione si era parlato tanto di una possibile “neuroinvasione” come di “neurovirulenza”, termini che rimandano alla capacità di questo nuovo coronavirus di colpire il sistema nervoso. Dal 20 marzo 2020 la Società Italiana di Neurologia (SIN) aveva titolato un suo documento col neologismo “NEUROCOVID” presentando i dati di letteratura che iniziavano a portare alla luce la certezza che questo virus non solo ci toglie il respiro, ma attacca il nostro corpo nel suo complesso. Si potrebbe dire che nessun sistema ne è immune. Oltre a polmoni, reni e fegato, il SARS-CoV-2 manifesta sin dalle prime fasi dell’infezione un particolare “neurotropismo” per i recettori dell’olfatto. Ciò significava una plausibile preferenza per le cellule nervose, come sono questi recettori, inducendo la perdita dell’olfatto – detta tecnicamente anosmia. Lo studio The emerging spectrum of COVID-19 neurology: clinical, radiological and laboratory findings (Ross W. Paterson et al., Brain) pubblicato lo scorso 8 luglio fornisce un dato significativo e allarmante: nei soggetti COVID-19 positivi il 40% presenta almeno una delle problematiche neurologiche correlate. Ma non è tutto.
  • L’altro lato della medaglia riguarda tutte le modificazioni funzionali e strutturali del nostro sistema nervoso e, in particolare, del nostro cervello, che indirettamente questo nuovo Coronavirus è in grado di indurre: il ventaglio dei fattori stressogeni legati allo stabilirsi di una vera e propria pandemia, quali l’isolamento e la paura e, non ultimi, la crisi economica e la frattura di importanti legami relazionali, tutto ciò può avere serie ripercussioni sull’armonia ed equilibrio del nostro sistema nervoso. Questa seconda prospettiva del progetto “NeuroCovid”, che prende in considerazione gli effetti sul mentale, non è meno importante e rilevante della prima, anzi, le due dovrebbero venir gestite in modo complementare, visto che possono alimentarsi reciprocamente.

Nell’articolo Neurobiology of COVID-19 (Fotuhi, Majid et al. Journal of Alzheimer’s Disease) la gravità neuropatologica è stata tripartita secondo uno spettro che va dalle lievi, ma invalidanti, condizioni di perdita sensoriale dell’olfatto (anosmia) e del gusto (ageusia), sino alle gravi encefalopatie. Gli autori stratificano gli effetti neurologici – “NeuroCovid staging” – in base allo studio dei meccanismi patofisiologici potenziali e attualmente riportati in letteratura che SARS-CoV-2 è in grado di indurre in sé o attraverso le molteplici e sistemiche reazioni all’interno del nostro organismo, non ultima, la cascata citochinica prodotta dal nostro sistema immunitario in risposta al virus. Viene proposto il seguente schema che gradualmente considera effetti sempre più gravi ed invalidanti:

NeuroCovid fase I: SARS-CoV-2 penetra nell’organismo attraverso le vie aeree e si lega ai recettori ACE2 umani delle cellule epiteliali a livello nasale e dell’apparato gustativo. Il sistema immunitario risponde, ma la risposta citochinica e cellulo-mediata rimane bassa e sotto controllo, il paziente può sviluppare una perdita transitoria dell’olfatto e/o del gusto, ma si riprende dalla lieve sintomatologia senza alcun intervento medico specifico.

NeuroCovid fase II: SARS-CoV-2 scatena un’intensa risposta immunitaria con alte dosi di citochine che aumentano i livelli di ferritina, di proteina C-reattiva e di dimeri-D alla base di fenomeni di iper-coagulazione in grado di produrre coaguli di sangue che in base alla sede possono essere alla base di ictus e trombosi, ma anche vasculiti (infiammazioni dei vasi sanguigni) a livello di nervi e muscoli con possibile necrosi dei tessuti e danni ai nervi cranici, a quelli periferici e alla muscolatura. Già a questo stadio si devono tenere in considerazione possibili danni neuro-muscolari che potranno richiedere interventi di neuro-riabilitazione a medio e lungo termine una volta risolta la fase critica della patologia COVID-19.

NeuroCovid fase III: questo grave stadio si riferisce sostanzialmente a tutto il resto con l’aggiunta della situazione di infiltrazione dei fattori infiammatori, incluso il coronavirus stesso, oltre la barriera emato-encefalica. Il conseguente edema e i danni cerebrali sono alla base di possibili deliri, encefalopatie e/o crisi epilettiche, sino a veri e propri ictus emorragici.

La neurologia e le neuroscienze sono perciò tra le specialità sul fronte d’attacco di questa pandemia e offrono i dati per ulteriori riflessioni interdisciplinari che potranno guidare sia gli interventi clinici, come essere d’ispirazione per lo sviluppo di strategie a medio e lungo termine in grado di prevenire e contenere i possibili danni a livello del nostro sistema nervoso. Su questo fronte che potremmo denominare “genetico o endogeno” dovremmo prepararci a sostenere gli effetti post-infezione che in non pochi soggetti guariti cronicizzano e avranno necessità di accedere a servizi di neuro-riabilitazione. Significativa risulta la conclusione dello studio italiano pubblicato il 22 maggio dall’American Academy of Neurology, Clinical characteristics and outcomes of inpatients with neurologic disease and COVID-19 in Brescia, Lombardy, Italy (Benussi et al. Neurology): i pazienti COVID-19 ricoverati con malattia neurologica, incluso l’ictus, hanno una mortalità in ospedale significativamente più elevata, delirio incidente e disabilità più elevata rispetto ai pazienti senza COVID-19.

L’orizzonte potrebbe essere quello della disabilità.

Mentre a livello globale la pandemia non cede di un millimetro, riflettere su “NeuroCovid” significa costruire quegli strumenti che ci permetteranno di limitare i danni effettivi o potenziali. Le parole chiave sono: prevenzione, contenimento e gestione.

A questa prima prospettiva strettamente neurologica del progetto deve essere integrata a “NeuroCovid” la seconda dimensione non meno importante: quella che potremmo denominare di natura “epigenetica” in grado di aggravare o di scatenare problematiche di natura psichica.

Un’epidemia, e più ancora una pandemia, produce tutta una serie di alterazioni relazionali che incidono sul tessuto sociale, economico e lavorativo, con ripercussioni comportamentali significative. Isolamento, distanziamento, timore, paura, ansia, perdita di lavoro e di famigliari, risultano condizioni di stress che hanno la capacità di rompere l’armonia e l’equilibrio del nostro sistema nervoso. Gli autori dello studio Psychiatric face of COVID-19 (Steardo, Steardo, & Verkhratsky, Translational Psychiatry) mettono in luce, oltre alle alterazioni organiche indotte dal virus, il potenziale negativo a livello mentale di ciò che descrivono come “stress ambientale” causato dal contesto pandemico in grado anch’esso di promuovere l’aggravarsi, ma anche lo stabilirsi, di patologie neuropsichiatriche quali: la depressione maggiore, il disturbo bipolare, psicosi, stati di disordine ossessivo-compulsivo e di disturbo post-traumatico da stress. Significativo risulta l’acuirsi del numero di suicidi nel periodo del lockdown. Queste sequele psichiche della pandemia COVID-19 rappresentano sfide cliniche molto serie che devono venir prese in considerazione per tradursi in approcci terapeutici presenti e futuri. Siamo nelle migliori condizioni tecno-scientifiche e cliniche per poter intervenire.

Le due prospettive del progetto “NeuroCovid” descritte ci fanno prendere atto dell’importanza della sfida neuroetica che ancora pochi considerano a livello mediatico. Una profonda, articolata, informata e sistematica comprensione di quanto descritto costituisce la base per pianificare con efficacia strategie di riduzione dell’impatto dei danni e di potenziamento che aiutino nel presente e nel futuro a prevenire e gestire gli effetti neurologici post-infezione evitando possibili situazioni di disabilità.