CONTROVIRUS | Sos isolamento

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Umberta Telfener, psicologa clinica

Faccio la psicologa e continuo a lavorare con i pazienti via Skype.

Incontro chi si sente spaesato, in un tempo e in uno spazio dilatato come se quello che sta succedendo non fosse vero; chi segue le statistiche degli infetti e dei morti come si guardano siti porno, disapprovandosi senza riuscire a interrompere mai; ragazzi che cercano un litigio per poter sbattere la porta e uscire, anche solo sul pianerottolo; coloro che approfittano dello smart working per sperimentare qualcosa di insolito e rassicurante: una partita a Monopoli coi figli alle sette di sera di un giorno feriale. C’è chi finalmente si rilassa, non dovendo fare cose che non gli sono mai interessate abbastanza, che si sentiva in dovere di organizzare per dimostrare di essere socialmente adattato; chi esagera nell’annoiarsi e si perde tra briciole nel letto e sciatteria. Molte mamme si preoccupano giustamente dell’overdose di telefonino dei figli, altre esageratamente della mancanza di lezioni di scuola, non rendendosi conto che questa esperienza di convivenza forzata – se vissuta attivamente anziché subita – è terapeutica sia per i figli che per i genitori: permette di sperimentare un legame continuato nel tempo e nello spazio, per questo rassicurante e curativo. Incontro coppie che si ritrovano obbligate a stare vicine quando avevano finalmente imparato a vivere da separate in casa; riescono – date le circostanze – a tirar fuori e scambiarsi un affetto che avevano dimenticato; incontro amanti che trasgrediscono gli ordini per incontrarsi di notte. Alcuni approfittano della crisi per rallentare, per imparare la lezione che il virus ci obbliga a tener presente. Altri fanno finta che l’emergenza non esista e continuano a vivere senza consapevolezza come sono vissuti finora: sprecando un’occasione di crescita.

Incontro persone fobiche che soffrono la claustrofobia e accentuano il loro senso del dovere, altre più ossessive costrette a lasciar andare il mito del controllo a tutti i costi. Ai depressi manca la luce del sole sulla pelle e perdono energia, si scaricano come le pile; coloro che hanno problemi alimentari si trovano a cucinare come non ci fosse un domani e escono solo per comprare altro cibo.

Ognuna delle persone che sto incontrando ha scelto alla televisione un virologo/epidemiologo di fiducia, ha costruito con lui o con lei una sorta di relazione di attaccamento catartica, che purifica e rassicura, lo cerca e lo segue come fosse un nuovo fidanzato.

Psicologicamente questa emergenza è molto dura e le conseguenze si vedranno in seguito, ora siamo impegnati a resistere. Malgrado i rischi psicologici, la maggior parte delle persone ha risposto però molto bene – anche quelle più psicologicamente disturbate – e quasi tutti hanno tirato fuori le loro qualità più nascoste, la loro resilienza, la capacità di adattarsi a ciò che accade. La maggioranza di noi si è adattata in maniera ammirevole. 

L’isolamento al quale siamo costretti certamente ha cambiato le nostre vite e ci ha insegnato qualcosa di utile, ci ha fatto riscoprire pensieri, emozioni, comportamenti che avevamo represso per stare dietro agli impegni quotidiani.  Nel processo di adattarci alla crisi siamo inesorabilmente cambiati, anche se non ne siamo forse totalmente ancora consapevoli. Ora si tratta di mantenere i cambiamenti positivi anziché dimenticarli appena l’emergenza sarà finita.

Quali sono i consigli che uno psicologo può dare per aiutare a vivere meglio il confinamento in casa? Per mantenere un livello tollerabile di quotidianità in questi tempi di crisi, propongo una serie di suggerimenti che può essere utile seguire, e qualche pericolo da evitare.

  • VARIARE: non fare tutti i giorni le stesse cose, si rischia di perdere la propria creatività, di cadere nella routine, di annoiarsi e di instaurare di nuovo un ritmo troppo simile a quello che avevamo nella vita mondana pre-crisi.
  • CURARE IL PROPRIO ASPETTO: è dannoso restare sporchi e sciatti in una casa disordinata. Dobbiamo curare noi stessi e lo spazio in cui siamo rinchiusi per renderlo accogliente e piacevole. Abbiamo bisogno di stare al meglio per tenere alta l’energia vitale oltre che la stima personale. Potrebbero poi arrivare video-chiamate sorpresa… teniamoci pronti!
  • APRIRE ALLE POSSIBILITÀ: non è utile lamentarsi e criticare. Si entra in uno stato d’animo negativo, si blocca l’energia, si cade nel giudizio, si esclude la gratitudine.   Facciamo uno sforzo quotidiano per vedere il bicchiere mezzo pieno, cercando ogni giorno qualcosa di positivo, magari segnandolo in un diario 
  • LIMITARE L’NFORMAZIONE: rende passivi prendere in considerazione troppi dati, guardare troppe serie, troppi stimoli visivi, usare troppo il computer tutto il giorno, facendosi nutrire da stimoli che provengono da fuori. Più utile suddividere il tempo telematico del lavoro e quello dello svago e frammezzarli con altro.
  • GIOCARE e CONDIVIDERE: consiglio di approfittare per stare coi bambini in maniera attiva, generativa, creativa, proponendo giochi e attività insolite; sgridando il minimo necessario, coccolando il più possibile. Cucinare insieme sperimentando per esempio ricette etniche, inventare una storia in cui ognuno gioca il ruolo di un personaggio, proporre una cena in costume, invitare a scrivere un racconto al quale ognuno aggiunge un capitolo.
  • FARE SPORT: ginnastica, yoga, movimento; non usare le scuse che usavamo nella vita di tutti i giorni per rimandare. Uscire – con tutte le precauzioni del caso – almeno per la spesa, per il giro del palazzo, per sentire l’aria sulla pelle.
  • PRENDERSI TEMPO PER SÉ: magari facendo qualcosa che non avevamo mai fatto prima, certamente impegnandosi a fare quelle cose nella lista mentale che si è accumulata nella vita, magari solo per accorgerci che non sono impegni così ambiti. Prendere tempo per ipotizzare quali cambiamenti vorreste apportare alla vostra vita perché sia più soddisfacente e più coerente con il vostro attuale sviluppo.
  • E poi una volta alla settimana concedersi di TRASGREDIRE TUTTE LE REGOLE CHE HO PROPOSTO e fare ASSOLUTAMENTE e SOLO quello che ci va.

Un ultimo commento: la società iper-moderna aveva rimosso la morte; ora non si fa altro che parlare di decessi, temerli, piangerli, raccontarli. Mai come ora si è costretti ad affrontare un lutto individuale e collettivo. Mi vengono in mente le fasi del lutto illustrate dalla psicologa Elisabeth Kubler-Ross – famosa tanatologa – e che possono essere applicate anche al lutto collettivo che stiamo fronteggiando: la prima è quella del diniego, viene poi la rabbia, la negoziazione, la depressione, e infine si accetta ciò che sta accadendo. 

Voi, cari lettori, in che fase siete?