Mentre il mondo si blinda per evitare il dilagare del coronavirus, si ripresenta con rinnovato vigore la minaccia dei gruppi estremisti. Dall’ISIS in Medio Oriente ai movimenti di estrema destra in Europa, il coronavirus può diventare un’opportunità per destabilizzare ulteriormente lo status-quo?
Quando iniziarono a girare le prime notizie sul Covid-19, lo Stato Islamico (Isis) emanò una dichiarazione per invitare i propri seguaci a non intraprendere viaggi verso l’Europa, per compiere attacchi terroristici. Nella newsletter del gruppo, Naba, si sollecitavano i seguaci a lavarsi le mani e a non “entrare nella terra dell’epidemia”.
Il mondo intero è rimasto stupito nello scoprire come anche organizzazioni quali l’ISIS possano invocare uno sforzo collettivo per evitare l’espansione del virus. Ma per un gruppo che ha perso centinaia di combattenti e seguaci in bombardamenti, esecuzioni e in prigione, queste sollecitazioni vanno interpretate più come un tentativo di mantenere il potere, che una reale preoccupazione per la salute collettiva.
In realtà in Iraq questa settimana ci sono stati due attacchi dell’ISIS. È molto probabile che i gruppi terroristici approfittino del caos in luoghi dilaniati dalla guerra, come Iraq e Siria, per sferrare attacchi-lampo su obiettivi militari e civili; l’instabilità politica di questi Paesi andrà sicuramente a loro vantaggio.
Allo stesso modo Boko Haram, il gruppo affiliato all’ISIS nell’Africa occidentale, ha intensificato gli attacchi e rafforzato la sua cooperazione con al-Qaeda per approfittare del momento di fragilità a livello sociale. Più a nord in Egitto, si registra un aumento dell’attività dell’Isis nella penisola del Sinai, che si può anch’essa ricollegare al Covid-19.
Se la dichiarazione dell’ISIS di evitare i paesi infetti ha sicuramente diminuito di molto il rischio di attacchi su larga scala in Europa, i lunghi periodi di isolamento potrebbero portare individui legati a pericolose ideologie a radicalizzarsi on-line ed entrare sempre di più nella spirale dell’estremismo, spostando gli attacchi su obiettivi “facili” come ospedali o case di cura, dove a causa dell’emergenza c’è superaffollamento e i controlli sono più difficili.
In Europa i gruppi di estrema destra stanno creando una narrativa che descrive il Covid-19 come un “virus straniero”, per dare forza alla loro visione secondo la quale i pericoli provengono da nemici esterni. In un momento in cui l’Europa assiste a un’ascesa dei nazionalismi di destra, questo potrebbe portare ancora di più a vedere l’altro come una minaccia. Il mese scorso negli Stati Uniti l’utilizzo da parte del presidente Donald Trump del termine “virus cinese”, ha portato a un aumento degli attacchi a sfondo razzista contro gli asiatici americani.
In Europa, l’allarme antisemitismo è palpabile. La comunità ebraica, come la Storia insegna, rischia di assumere nuovamente il ruolo di capro espiatorio dei movimenti di estrema destra, che hanno già cominciato ad accusare le organizzazioni ebraiche di utilizzare volontariamente il virus per destabilizzare la società. Ma paradossalmente anche Israele non è esente dagli attacchi d’odio dell’estrema destra. Video che circolano sui social-media mostrano ebrei ultra-ortodossi ripresi mentre sputano e tossiscono sui poliziotti israeliani, chiamandoli “assassini” e “Nazisti” a causa delle misure di isolamento della popolazione e chiusura dei luoghi di culto, che contrastano con i severi dettati della pratica religiosa più estrema.
Se appare quindi chiaro che estremisti e gruppi terroristici vedono nel virus un mezzo per raggiungere i loro obiettivi, che cosa possiamo aspettarci nel prossimo futuro? Mentre attacchi su larga scala in Europa sembrano improbabili per il momento, la situazione in Africa e Medio Oriente potrebbe offrire la sponda a un’affermazione dei movimenti più radicali, favorita anche dalla crisi economica che si prospetta nei Paesi Arabi a causa del calo del prezzo del petrolio e alla mancanza di sistemi sanitari efficienti. Una situazione che potrebbe diventare incandescente sfruttando il malcontento della popolazione.
E per quello che riguarda la ormai prossima – si spera – Fase 2? Da un lato il progressivo ritorno alla libertà di movimento potrebbe rimettere in circolazione fanatici in cerca del loro momento di gloria. Dall’altro però, si prospetta ovunque la messa in atto di capillari sistemi di sorveglianza che sicuramente rendono più difficile portare a termine azioni terroristiche. Lo vediamo dai filmati già in rete.
In Corea del Sud, uno dei Paesi più avanzati tecnologicamente per quanto riguarda il tracciamento, la popolazione è stata dotata di un QR code da scaricare sul cellulare, che segnala lo stato di salute di ogni individuo. Luce verde per chi è sano, luce gialla per chi è sano ma è stato in contatto con ammalati, luce rossa per chi è positivo. Dovunque si voglia andare, dal metrò, alla farmacia, al supermercato, persino per entrare nei condomini, per non parlare di aeroporti e luoghi pubblici, è necessario mostrare il QR code, e se non si ha la luce verde non si entra. Telecamere e droni controllano i movimenti, e, in caso di malattia, la memoria del telefono viene scaricata e fornisce preziosi elementi di tracciamento dei contatti.
A Hong Kong i nuovi arrivati vengono forniti di braccialetti elettronici per sorvegliarli e assicurarsi che non violino la quarantena, mentre Singapore ha utilizzato con successo la CCTV per tenere sotto controllo la pandemia. La Cina non è da meno con i suoi droni stile “Grande Fratello”, che hanno mantenuto un occhio vigile sulla quarantena dei civili. A Pechino gli algoritmi di riconoscimento facciale individuano i pendolari che non indossano la maschera in modo corretto, mentre la Sin Bet israeliana sta utilizzando i dati dei cellulari per rintracciare chiunque sia entrato in contatto con il virus. Comprensibilmente, questo aumento della sorveglianza desta preoccupazione nei sostenitori dei diritti civili in tutto il mondo, ma può rivelarsi un’arma efficace contro il terrorismo.
Se da una parte il Covid-19 può fornire alle organizzazioni estremiste e ai gruppi terroristici una rinnovata speranza e uno scopo, dall’altra serve agli Stati come presupposto per raccogliere i dati personali delle persone, mentre lavorano, socializzano o passano il tempo libero a casa, e questo, potrebbe rendere più facile identificare e bloccare delle possibili minacce terroristiche.
Security vs privacy: è il tema etico più discusso in questo momento, e vale non solo per la pandemia ma anche per il terrorismo.
Sofia Barbarani è una giornalista free-lance che si occupa di terrorismo e conflitti in Medio Oriente, e ha lavorato in particolare in Iraq e Siria, coprendo l’ascesa e la caduta dell’Isis. Collabora con prestigiose testate internazionali come The Telegraph, The Economist, Thomson Reuters Foundation, The Washington Post, The Guardian, The Times and Al Jazeera English. Ha recentemente moderato un webinar su Covid 19 e terrorismo, organizzato dal Euro-Gulf Information Center, e al quale hanno partecipato: Caroline Varin, Senior Lecturer in Security and International Organisations at Regent’s University London, Director and Co-founder of Professors Without Borders (Prowibo); Peter R. Neumann, Senior Fellow, International Centre for the Study of Radicalisation and Political Violence (ICSR); Yan St-Pierre, CEO and Counter-Terrorism Advisor, Modern Security Consulting Group (MOSECON); Mitchell Belfer, President, Euro-Gulf Information Centre (EGIC).